martedì 14 agosto 2012

Alessandro Massobrio, “Il Giornale”, Genova,16/06/1996

"René Caillé, esploratore francese del primo Ottocento, figura storica dimenticata dai libri di storia ma non da chi nella storia ricerca paradigmi di comportamento, è mosso da due valori che oggi non potrebbero che essere considerati inattuali: l'avventura e lo scavo interiore. O meglio, l'avventura come luogo (il deserto) ove la ricerca di se stesso procede più speditamente perché niente e nessuno osa frapporsi tra l'io e l'io... Caillé decide di tagliare dietro di sé i ponti che lo legavano alla vecchia Europa per realizzare un sogno: raggiungere la favolosa Timbuctù, scrigno - secondo i cronisti dell'epoca - di inimmaginabili meraviglie. Per far questo l'esploratore si sottopone ad un duro apprendistato all'islamismo. Nasconde nel fondo di se stesso la propria identità cristiana ed europea e simula, in una sorta di pirandelliano gioco delle parti, una identità che non gli appartiene."
  

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