venerdì 17 agosto 2012

EDGARD ALLAN POE, PRECURSORE E MAESTRO (segue)

Dai suoi racconti detti “of mystery and ratiocination” (del mistero e del ragionamento), e dal protagonista di questi racconti, l’investigatore Auguste Dupin, ragionatore e argomentatore infallibile, guidato da uno spirito d’osservazione acutissimo e da una logica ferrea, discende l’infinita schiera di indagatori del mistero e del delitto come Sherlock Holmes, Hercule Poirot, Philo Vance, Perry Mason e così via, sempre in competizione, proprio come il loro più illustre e insuperato modello, con i metodi grossolani e antiraziocinanti della polizia ufficiale. Anche il protagonista dello Scarabeo d’oro, William Legrand, misantropo non privo d’un pizzico di follia, dimostra facoltà deduttive non comuni allorché, grazie allo scarabeo d’oro e al frammento di pergamena rivenuti per caso nella campagna, riesce a rintracciare il luogo dov’è sepolto un tesoro inestimabile; un’altra novella, questa, che, oltre ad essere tra le più belle e avvincenti della produzione di Poe, diverrà il modello dell’inesauribile serie di avventurose cacce al tesoro che popoleranno dopo di lui la narrativa e quindi il cinema. Tutti i racconti citati hanno avuto un’indubbia influenza su scrittori come R. L. Stevenson, JulesVerne e anche, per certi versi, Joseph Conrad. E un racconto come Nella colonia penale di Kafka trova la propria diretta ispirazione ne Il pozzo e il pendolo di Poe, con quella descrizione minuta e raccapricciante, comune a entrambi gli autori, di elaborate macchine di tortura a cui l’uomo viene sottoposto in un clima sospeso tra efferatezza e allucinazione. Kafka è un altro scrittore che deve molto a Poe, così come gli devono molto autori come Borges, Pessoa e il nostro Tommaso Landolfi; per non parlare dell’imponente brigata di scrittori di genere, tra cui, tanto per fare solo alcuni  nomi, H. P. Lovecraft,  Stephen King e Philip Dick, autore, quest’ultimo, di quel Cacciatore di androidi che ha ispirato il film Blade Runner, divenuto un cult della cinematografia fantascientifica. Il cinema poi si è avvalso abbondantemente della narrativa di Poe, da cui sono stati ricavati non meno di cento film, più o meno fedeli agli originali e più o meno apprezzabili (ma qui calcherei sul meno) e allevando attori che si sono addirittura specializzati nell’interpretare personaggi nati dalla fantasia dello scrittore, come Boris Karloff e Vincent Price, ad esempio. 
Il Poe quale iniziatore del surrealismo letterario e del nonsense è meno noto al pubblico non specializzato, ma è indubbio che un certo numero dei suoi scritti, paradossali e assurdi, abbiano fatto scuola: non appare inutile citare ancora Kafka, giudicato il maestro dell’assurdo senza mai ricordare il suo debito nei confronti di Poe. Tra l’altro nei suoi scritti paradossali il nostro autore estrae una vena beffarda e mordace,  mistificando e giocando sul nonsense, con l’intenzione di irridere la stessa professione a cui dovette ricorrere per sopravvivere: l’odiosamato giornalismo. Si pensi a un racconto come X-ando un pezzo, dove si diverte a stigmatizzare l’ignoranza e la trascuratezza del proto che, al momento di comporre un articolo, non disponendo della lettera o, la sostituisce con la x, col risultato di trasformare il pezzo in un’incomprensibile e grottesco componimento che viene scambiato dal pubblico per un messaggio mistico-cabalistico con intenti eversivi, e che costringe l’autore a darsi alla fuga per sfuggire alla folla inferocita.
Perfino nella composizione in versi Edgard Poe influenza una tendenza o scuola che ha avuto una grande risonanza e rilievo: quella della poesia decadente europea, ponendosi quindi quale antesignano di autori del calibro di Baudelaire e Mallarmé. Citiamo per tutte la sua poesia più famosa, Il Corvo, in cui il nero uccello entra una notte nella camera dell’autore appena rimasto vedovo, restando appollaiato su un busto classico ed emettendo ad ogni domanda dell’uomo infelice un lugubre verso, nevermore ("mai più") che risuona come una risposta funerea e senza speranza. Fu proprio Baudelaire a far conoscere in Europa l’originalissimo scrittore americano, forse il primo e più rilevante autore della giovane letteratura d’oltreoceano, traducendo, intorno al 1846, i suoi racconti più belli col titolo assai appropriato di Racconti straordinari.
Ho detto che Poe è stato ed è ancora fonte di ispirazione per tanta letteratura di genere, come del cinema e del fumetto, molto spesso di qualità scadente, forse perché proclive ad attingere e a privilegiare taluni aspetti a cui lo stesso Poe indulgeva e che costituiscono i suoi difetti più vistosi, ispirati a un goticismo talvolta smodato e teatrale: castelli in rovina collocati entro paesaggi cupi e desolati; interni dove i tendaggi, sempre funerei, appaiono perennemente agitati da correnti d’aria di dubbia provenienza; la descrizione di uomini e donne che sembrano più la rappresentazione di fantasmi che quella di esseri umani in carne ed ossa; le situazioni a tinte forti e raccapriccianti dove abbonda il nero degli abiti e il rosso del sangue (come nella Maschera della Morte rossa, ad esempio). Il grand guignol, nell’opera di  Edgard Poe, è, insomma, costantemente dietro l’angolo,  come anche in certa pittura da lui fortemente influenzata, tra cui, tanto per fare un esempio, quella di Odile Redon,  pur restando questi, nonostante le fumisterie mediate da Poe,  sempre un talentuoso e affascinante artista visionario.
Eppure Edgard Allan Poe rimane, malgrado i suoi difetti, un grande maestro di scrittura, un incomparabile creatore di atmosfere grazie al suo stile inconfondibile, dove il succedersi delle frasi e la scelta dei termini sempre più appropriati, sempre più incalzanti, concorrono a creare, di momento in momento, quell’innalzamento graduale del  pathos fino al raggiungimento dell’apice della tensione emotiva che è simile ad un’acuta sofferenza, da cui scaturisce l’inevitabile catarsi liberatoria. Pochi come lui sono capaci di inchiodare il lettore alla pagina e di attanagliarlo nei labirinti angosciosi e ossessivi che costruisce con la sua tecnica magistrale.  E rari sono coloro che hanno saputo, come lui, affrontare le ossessioni e le angosce dell’uomo scandagliandole fin negli angoli più riposti della psiche per estrarle dal buio dell’anima e restituirle in spavento e orrore. Ma Poe, è bene rammentarlo, è e rimane soprattutto un letterato, crea cioè delle storie che obbediscono al compito precipuo della letteratura, quella di divertire o commuovere. Lui lo sa fare regalandoci molti brividi e momenti di tensione. Alcuni suoi racconti sono, in questo senso, costruzioni letterarie perfette, come Berenice, Ligeia, Il crollo della casa degli Usher, William Wilson, Il gatto nero, Il cuore rivelatore; opere capaci di evocare e, sicuramente senza alcuna consapevolezza da parte dell’autore, di predire la tenebra in cui le generazioni dopo di lui si sarebbero avvolte sempre più strettamente, massimamente la nostra. Egli, da narratore di grande talento, è stato capace di portarla alla luce, ma non è responsabile del fatto che noi abbiamo voluto farcene un manto.
 Dionisio di Francescantonio

Nessun commento:

Posta un commento