sabato 20 ottobre 2012

FOTOGRAFIA ETICA E FOTOGRAFIA ESTETICA



Foto di Werner Bischof


La premessa era necessaria per dire che, anni fa (per essere precisi negli anni Settanta, quando le ideologie infuriavano al massimo grado nel mondo occidentale, soprattutto, allora, quella appena nata del Terzomondismo), c’era chi teorizzava che il compito del fotoreporter dovesse essere quello di documentare, a scopo di denuncia, le brutture prodotte dall’uomo nel mondo contemporaneo. Ne era derivata una vera e propria etica fotografica (era appunto l’epoca in cui si tendeva ad applicare il sigillo dell’etica ad ogni forma di comunicazione), una sorta di modello di comportamento pre-imposto che induceva a ricercare immagini di disastri e degrado: inquinamento, guerra, mostruosità urbanistiche, umanità affamata e derelitta, imbruttita dalle privazioni, dall’alienazione o dalla depravazione –  e via insistendo lungo questo fosco percorso.
 
Foto di Dionisio di Francescantonio





































Confesso che, anch’io, forse perché il mio interesse per la fotografia (in particolare per quella di reportage) coincideva con l’inizio della mia passione per i viaggi in quei paesi che rientravano proprio nella sfera di quello che allora si chiamava Terzo Mondo, tendevo a rivolgere l’obiettivo verso gli aspetti meno gradevoli della vita e dell’uomo. D’altronde c’erano gli esempi dei grandi fotoreporter che costituivano una sorta di scuola e facevano tendenza. Non si poteva fare a meno di riferirsi ad immagini di grande impatto drammatico come quelle prodotte da Werner Bischof, da Donald Mc Cullin, da Eugene Smith. Era ad autori come questi che i giovani come me, che giravano il mondo per fotografarlo e pubblicare poi le immagini su giornali e riviste, ispiravano i propri lavori. 




Foto di Dionisio di Francescantonio
 Ma la mia formazione artistica (non ho mai smesso di considerarmi anzitutto un pittore, tant’è vero che la fotografia l’ho praticata solo per alcuni anni e soprattutto per ricavarne un guadagno, anche se mi sono sempre sforzato di realizzare una fotografia espressiva, più che documentaria), i miei studi prolungati dell’armonia compositiva, oltre che il mio gusto istintivo per la pulizia e per la bellezza dell’immagine, mi portavano in ogni caso a restituire un’inquadratura non dimentica del fattore estetico. Più tardi ho scoperto che anche taluni tra i fotoreporter più “crudi” obbedivano, nonostante l’imperativo etico, alla mia stessa esigenza. Ho in mente, ad esempio, l’immagine di una veglia funebre di Eugene Smith, dove la drammaticità dell’evento viene restituita e in qualche maniera mitigata dall’inquadratura di grande valenza estetica. In seguito, comunque, c’è stata una vera e propria reazione di rifiuto nei confronti della tendenza a cercare le immagini peggiori del mondo, com’è inevitabile per chi non riesce ad asservire più che tanto il proprio talento (laddove c’è) agli imperativi ideologici. Gli stessi fotoreporter degli orrori della guerra come Mc Cullin, Bischof ed altri arrivarono a  sostenere, indubbiamente per reazione e nausea delle realtà che frequentavano abitualmente, che il mondo era così pieno di brutture che appariva sbagliato e addirittura diseducativo ostinarsi a mostrare solo quelle e che era più produttivo andare in cerca di quel poco di armonia e di bellezza che ancora si conservava in giro.

Foto di Dionisio di Francescantonio
A mio avviso, questi due atteggiamenti, opposti l’uno all’altro, obbediscono entrambi allo stesso vizio etico di concepire la fotografia. La realtà può essere drammatica o allegra e la fotografia, come tutti i linguaggi espressivi, deve cercare di restituire questi aspetti, magari accentuandoli, anzi senz’altro accentuandoli, ma senza mai dimenticare l’indispensabile fattore estetico, che la nobilita e la esalta. L’immagine può esprimere il massimo della drammaticità e della tristezza, o il massimo della serenità e dell’allegria, ma il fotografo  non dovrebbe mai dimenticare che lo scopo della sua inquadratura deve essere quello di creare poesia.
Foto di Dionisio di Francescantonio


Foto di Dionisio di Francescantonio


















Forse nessuno ha saputo esprimere meglio l’essenza peculiare della fotografia di Henri Cartier-Bresson, quando dice: “ Fare fotografie significa riconoscere – contemporaneamente e in una frazione di secondo – l’evento in se stesso e la rigorosa organizzazione delle forme visuali percepite che conferiscono significato all’evento. E mettere la propria testa, il proprio occhio e il proprio cuore sullo stesso asse”.

Foto di Henri Cartier-Bresson
 Dionisio di Francescantonio

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