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Foto di Werner Bischof |
La premessa era necessaria per
dire che, anni fa (per essere precisi negli anni Settanta, quando le ideologie
infuriavano al massimo grado nel mondo occidentale, soprattutto, allora, quella
appena nata del Terzomondismo), c’era chi teorizzava che il compito del
fotoreporter dovesse essere quello di documentare, a scopo di denuncia, le
brutture prodotte dall’uomo nel mondo contemporaneo. Ne era derivata una vera e
propria etica fotografica (era appunto l’epoca in cui si tendeva ad applicare
il sigillo dell’etica ad ogni forma di comunicazione), una sorta di
modello di comportamento pre-imposto che induceva a ricercare immagini di
disastri e degrado: inquinamento, guerra, mostruosità urbanistiche, umanità
affamata e derelitta, imbruttita dalle privazioni, dall’alienazione o dalla
depravazione – e via insistendo lungo questo fosco percorso.
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Foto di Dionisio di Francescantonio |
Confesso
che, anch’io, forse perché il mio interesse per la fotografia (in particolare
per quella di reportage) coincideva con l’inizio della mia passione per i
viaggi in quei paesi che rientravano proprio nella sfera di quello che allora si
chiamava Terzo Mondo, tendevo a rivolgere l’obiettivo verso gli aspetti meno
gradevoli della vita e dell’uomo. D’altronde c’erano gli esempi dei grandi
fotoreporter che costituivano una sorta di scuola e facevano tendenza. Non si
poteva fare a meno di riferirsi ad immagini di grande impatto drammatico come
quelle prodotte da Werner Bischof, da Donald Mc Cullin, da Eugene Smith. Era ad
autori come questi che i giovani come me, che giravano il mondo per
fotografarlo e pubblicare poi le immagini su giornali e riviste, ispiravano i
propri lavori.
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Foto di Dionisio di Francescantonio |
Ma la mia formazione artistica (non ho mai smesso di
considerarmi anzitutto un pittore, tant’è vero che la fotografia l’ho praticata
solo per alcuni anni e soprattutto per ricavarne un guadagno, anche se mi sono
sempre sforzato di realizzare una fotografia espressiva, più che
documentaria), i miei studi prolungati dell’armonia compositiva, oltre che il
mio gusto istintivo per la pulizia e per la bellezza dell’immagine, mi
portavano in ogni caso a restituire un’inquadratura non dimentica del fattore
estetico. Più tardi ho scoperto che anche taluni tra i fotoreporter più “crudi”
obbedivano, nonostante l’imperativo etico, alla mia stessa esigenza. Ho in mente,
ad esempio, l’immagine di una veglia funebre di Eugene Smith, dove la
drammaticità dell’evento viene restituita e in qualche maniera mitigata
dall’inquadratura di grande valenza estetica. In seguito, comunque, c’è stata
una vera e propria reazione di rifiuto nei confronti della tendenza a cercare
le immagini peggiori del mondo, com’è inevitabile per chi non riesce ad
asservire più che tanto il proprio talento (laddove c’è) agli imperativi
ideologici. Gli stessi fotoreporter degli orrori della guerra come Mc Cullin,
Bischof ed altri arrivarono a sostenere, indubbiamente per reazione e
nausea delle realtà che frequentavano abitualmente, che il mondo era così pieno
di brutture che appariva sbagliato e addirittura diseducativo ostinarsi a
mostrare solo quelle e che era più produttivo andare in cerca di quel poco di
armonia e di bellezza che ancora si conservava in giro.
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Foto di Dionisio di Francescantonio |
A mio avviso, questi due
atteggiamenti, opposti l’uno all’altro, obbediscono entrambi allo stesso vizio
etico di concepire la fotografia. La realtà può essere drammatica o allegra
e la fotografia, come tutti i linguaggi espressivi, deve cercare di restituire
questi aspetti, magari accentuandoli, anzi senz’altro accentuandoli, ma senza
mai dimenticare l’indispensabile fattore estetico, che la nobilita e la esalta.
L’immagine può esprimere il massimo della drammaticità e della tristezza, o il
massimo della serenità e dell’allegria, ma il fotografo non dovrebbe mai
dimenticare che lo scopo della sua inquadratura deve essere quello di creare poesia.
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Foto di Dionisio di Francescantonio |
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Foto di Dionisio di Francescantonio |
Forse nessuno ha saputo esprimere
meglio l’essenza peculiare della fotografia di Henri Cartier-Bresson, quando
dice: “ Fare fotografie significa riconoscere – contemporaneamente e in una
frazione di secondo – l’evento in se stesso e la rigorosa organizzazione delle
forme visuali percepite che conferiscono significato all’evento. E mettere la
propria testa, il proprio occhio e il proprio cuore sullo stesso asse”.
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Foto di Henri Cartier-Bresson |
Dionisio di Francescantonio
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