|
Palmira (città Romana, Siria) |
Se dunque è vero – com’è vero – che l’idea prima di città fosse
quella di ricreare la dimora di Dio, non v’è dubbio che esista un rapporto di
causa ed effetto tra l’attuale imbarbarimento delle nostre città e la fine
della concezione metafisica
dell’agglomerato urbano. Le città d’una volta avevano un cuore, una fisionomia,
un’identità. Esse erano espressione di quell’energia collettiva volta a
conferire al luogo scelto per albergare la nostra esistenza la sostanza
abitativa più gradevole, più bella, più nobile che ci era dato realizzare,
poiché, oltre a noi mortali, il soggiorno doveva essere allettante per Colui
che regna sul cielo e sulla terra.
|
Urbino (Italia) |
Le città di oggi, così come si sono venute
configurando da circa un secolo in qua, sono autentici disastri urbani,
nient’altro che l’ammucchiarsi brutale di edifici senz’anima, esempi strazianti
non solo di offesa alla bellezza, ma anche di umiliazione della stessa idea di
abitazione, quella votata al Creatore del mondo. Dobbiamo cominciare a
chiederci seriamente come siamo riusciti a cadere così in basso, noi
occidentali che, dai Greci in poi, siamo stati i depositari della bellezza e
dell’armonia; domandarci, col massimo di allarme, come abbiamo potuto accettare
supinamente l’irrompere nell’architettura e nell’urbanistica di tanta licenza
antiestetica, di tanta deformità, di tanta sconcezza e devastazione. La
risposta a questa domanda la troviamo, senza nessun bisogno di lambiccarci il
cervello, nelle dottrine utopistiche affermatesi nel Novecento, quelle
ideologie egualitariste e massimaliste che, rompendo con la tradizione classica
e con la visione trascendente dell’universo, prefiguravano il mutamento
dell’uomo da persona umana a essere sociale così com’è dato nelle società delle
api e delle formiche, distruggendo così il principio dell’individualità per
dissolverlo in una indifferenziata moltitudine.
|
città moderna |
Queste dottrine o ideologie
hanno lanciato con determinazione il loro attacco mortale ai due concetti
fondamentali di tradizione e di bellezza, propugnando una visione del fare
umano che dopo aver disprezzato, screditato, aborrito e vilipeso ciò che gli
uomini avevano felicemente realizzato nel passato in nome della trascendenza,
hanno cominciato a sconvolgerlo e a demolirlo ferocemente. Le città di oggi
sono il prodotto di quelle ideologie nefaste e distruttive. Il loro modello di
società, uniformante e dispotico, ci ha lasciato in eredità, anche dopo il loro
fallimento storico, gli orrori concepiti dagli architetti e dagli urbanisti
ispiratisi alla politica di massificazione e omologazione che ne era il portato
socio-culturale.
|
Periferia |
|
città ideale concepita in epoca rinascimentale |
Questi architetti si sono sentiti autorizzati a rovinare le
città tradizionali e a riconfigurarne l’assetto, a sconnetterle, ad assediarle
con atroci periferie e sovente, dove era loro possibile (ad esempio approfittando
delle devastazioni prodotte dai bombardamenti della guerra o dai terremoti) a
ricostruirle di sana pianta, costringendo i cittadini inconsapevoli o inermi a
vivere nelle abitazioni e nei quartieri disumanizzanti da essi progettati,
caratterizzati da spazi identici, squallidi e opprimenti proprio perché la
bellezza e la ricerca della raffinatezza estetica erano considerate pericolose
qualità del pensiero individuale e trascendentale. In nome dell’ideologia
costruttivista e funzionalista di stampo massimalista e ateista si è obbedito a
una furia incessante di rinnovamento prodotta dalla smania nichilista di
distruggere il passato per creare visioni moderniste dello spazio rispondenti
alla volontà superomistica dell’uomo di sostituire il suo ingegno demiurgico
immanente alla potenza creatrice dello spirito, quella che si nutriva della
convinzione che l’opera dell’uomo dovesse configurarsi come uno specchio, un
abbozzo, una sfaccettatura della nozione del divino. La furia modernista di
rinnovamento obbedisce all’assunto aberrante e fanaticamente intollerante che
ciò che si compie oggi diventa già vecchio e superato domani e che ogni
risultato raggiunto è destinato fatalmente ad essere accantonato e dimenticato,
identificandosi dunque, come principio, in una sorta di vitalismo esasperato e
insaziabile votato a divorare incessantemente se stesso. Esattamente l’opposto,
come si vede, d’un itinerario volto alla ricerca e alla conquista della
bellezza, che non è effimera e per ottenere la quale non si volge mai le spalle
al cammino e all’esempio del passato. La fretta di andare avanti, invece, di
spingersi sempre oltre ciò che è stato già realizzato, è di per sé
irragionevole e cieca perché non lascia il tempo per nessuna riflessione, per
la meditazione e il ragionamento da cui scaturisce ogni vera creazione, anche
quella apparentemente figlia dell’ispirazione più geniale o dell’intuizione più
rapinosa. L’aspirazione alla bellezza si nutre di limiti, di pause, di ricerca
di accordi sull’esistente pur nell’introduzione di elementi innovativi. La
bellezza è misura; è, anche quando si avventura su nuovi territori,
un’investigazione nell’euritmia, un passo avanti nella realizzazione di
armonie. Al contrario, la smania modernista teme proprio la misura, l’ordine,
il limite; aborre il concetto dell’ornato, la cura del dettaglio, il piacere
della rifinitura; ed è capace unicamente di occupare spazio, di dominarlo e
schiacciarlo, violentando e distruggendo ogni cosa sul suo dissennato e
arrogante cammino.
|
città medievale |
Lo scenario architettonico e
urbanistico tradizionale è stato la vittima principale di questi caratteri
fondamentali del modernismo. Al posto delle città a misura di Dio e degli
uomini, universi del radicamento e dell’identità comunitaria, ciascuna
commisurata alla cultura e alla spiritualità specifica dei popoli, luoghi dove
la funzione abitativa si sposava alla praticità e fruibilità della compagine
urbana e all’esigenza di bellezza degli ambienti, la città contemporanea ci ha
dato i moduli abitativi standardizzati, le periferie smisurate e irrazionali, i
grattacieli sempre più elevati, i centri residenziali e quelli commerciali o di
lavoro nettamente separati tra loro: un tessuto urbano freddo e a compartimenti
stagni in cui la città, componendo una trama sgradevole e astiosa, si è
frammentata in tante isole non comunicanti tra loro, desolanti e minatorie,
ostici all’uomo e generatrici di angosce e aggressività. Ognuno di noi,
consapevolmente o inconsapevolmente, sente estranee e nemiche queste città,
poiché esse annullano la differenza tra pubblico e privato, tra piacere e
necessità, tra utilità e bellezza, e spersonalizzano l’individuo, ne uccidono
l’autonomia e la fantasia, riducendolo ad un automa senz’anima e senza
aspirazioni. L’uniformità urbanistica non è altro che l’espressione e lo
strumento d’una volontà di dominazione tracotante e intimidatoria esercitata
sull’uomo a tutti i livelli. Conviene solo alle grandi organizzazioni
statalistiche, alle grandi concentrazioni di capitali e di forze produttive,
alle eminenze oligopolistiche e totalizzatrici per le quali le volontà e i
desideri e i piaceri individuali non hanno alcuna cittadinanza. Su questo terreno
si è assistito alla perfetta fusione del vecchio regno dei Soviet col mondo
liberale del globalismo moderno, il quale ha assorbito la sostanza livellatrice
delle ideologie volte a una completa omogeneizzazione del pensiero per spianarsi
quel percorso materialistico ed egualitaristico che induce l’uomo a scivolare
verso il punto più basso e rozzo del suo essere, il meno consapevole e il più
manipolabile, dove è facile accettare supinamente l’ambiente più mortificante
costruito in nome dell’esigenza mercantile della realizzazione del profitto più
elevato col massimo contenimento dei costi di produzione, una prassi,
oltretutto, da ripetere ciclicamente in vista del rapido deterioramento e
superamento del già realizzato.
|
Pienza (Toscana, Italia)) |
|
Siviglia (Spagna) |
|
Noto (Sicilia, Italia)) |
In conclusione, per tutti gli
uomini di buona volontà è un’esigenza vitale rivedere radicalmente il modello
di città che vogliamo per il nostro il futuro e per quello dei nostri
discendenti, cominciando ad agire per riallacciare il filo spezzato coi modelli
realizzati dai nostri progenitori e riproponendo con forza il loro concetto di città.
Nessun commento:
Posta un commento