Quest’opera segna un'importante
cesura stilistica rispetto al perfezionismo formale di quello che veniva
chiamato "realismo socialista", poiché illustra per la prima volta in
modo autenticamente realistico la condizione di miseria in cui versava la
popolazione sovietica, in particolare durante il conflitto mondiale ma anche
nella fase successiva, mostrando senza reticenze, ad esempio, fenomeni assai
diffusi come il mercato nero. Ma è innanzitutto una struggente storia d'amore, un
amore inteso come un sentimento esclusivo e assoluto: quello di due giovani prossimi alle nozze che vengono separati
dalla guerra e dal procedere tragico e implacabile della storia.
Si tratta di Boris e Veronika, che vediamo all’inizio del film mentre osservano nel cielo di Mosca uno stormo di uccelli migratori che
preannunciano l'arrivo della primavera. E’
un volo di gru, che ricorda ai due giovani, che le citano, le parole pronunciate da Tùz, un personaggio de Le tre sorelle di Cechov: "Gli uccelli migratori, le gru per esempio, volano, volano e quali
che siano i pensieri, sublimi o meschini, che passino per la loro testa, esse
continueranno sempre a volare…". Il titolo del film, Letyat zhuravli, è
stato tradotto, in italiano, con Quando
volano le cicogne, ma gli uccelli migratori che i due innamorati
guardano volare nel cielo non sono
cicogne ma gru, come indica il titolo russo. Il film esprime uno
struggente desiderio
di pace attraverso la rappresentazione di sentimenti intimi,
semplici, puliti, travolti e annientati
dalla mostruosa macchina bellica. L'amore dei due giovani moscoviti è infatti
drasticamente interrotto dalla
partenza di Boris per il fronte e dalla drammatica sorte di Veronika,
la quale, rimasta sola dopo aver visto morire sotto i
bombardamenti dell’aviazione tedesca il padre e la madre, trova rifugio e accoglienza nella casa dei parenti del suo ragazzo; ma nella stessa casa vive anche
Marco, un cugino di
Boris, giovane
vizioso e privo di scrupoli che, una notte, approfittando
dell'atmosfera di terrore creata da un bombardamento, violenta Veronika. Come
conseguenza dell’episodio, ella è costretta a sposare il giovane e, proprio
mentre è in corso lo sposalizio, Boris, al fronte, viene ferito mortalmente
durante un’azione di pattuglia. Prima di spirare, il ragazzo, in una sequenza
filmica di grande efficacia e bellezza, rivede come in una ruota che gira
vorticosamente davanti ai suoi occhi tutta la sua breve esistenza, tra cui i momenti
felici passati insieme alla fidanzata. Veronika, ignara della morte
dell’innamorato, vive infelice accanto a Marco, subendo i suoi loschi intrighi
e le sue infedeltà. Ma Fjodor, il padre di Boris, scandalizzato dalla condotta
del nipote, di cui Veronika gli fornisce le prove, lo caccia di casa, ergendosi
a protettore della giovane che, intanto, ha raccolto un piccolo orfano che si
chiama Boris come il suo innamorato.
Finisce la guerra, tornano a Mosca
profughi e reduci: tra gli entusiasmi per la vittoria e l’esultanza per la
pace, Veronika va inutilmente in cerca di Boris e, quando capisce che non
tornerà più perché, evidentemente, è morto, piange disperatamente tutte le sue
lacrime. Unico conforto per lei, ma indicibilmente triste, sarà quello di contemplare
il volo delle gru che, alla vigilia della guerra, aveva ammirato insieme al suo
innamorato. Quando volano le cicogne è indubbiamente un film molto romantico, esaltato dall'intensa
interpretazione di Tatyana Samoijlova
(una protagonista molto umana e non priva di contraddizioni e debolezze, ben
lontana dalle eroine positive e tutte d’un pezzo alle quali il pubblico
sovietico era abituato) e dalle raffinate riprese di Sergej Urusevskij, l’operatore di Kalatozov
che alla Samoijlova dedica una serie di bellissimi primi piani.
Sulla scia di Quando volano le cicogne comparve un altro film, La ballata di un soldato, girato nel 1959 da Grigorij Čuchraj, opera che costituiva, anch’essa, una dolente e appassionata denuncia degli orrori della guerra. In questo film un giovane soldato russo, Alëša, ottiene una licenza premio di cinque giorni per aver abbattuto due carri armati tedeschi. Sulla lunga strada per arrivare alla fattoria della madre vedova, incontra Shura, una ragazza che si sta recando in visita dalla zia. Nei giorni che si trovano a passare insieme in quel tragitto comune, tra i due nasce un'amicizia che diventerà presto amore. Fosco sfondo del delicato sentimento sbocciato tra i due giovani è la Russia devastata dalla guerra, con i vari personaggi da essi incrociati: la guardia di un treno merci che accetta di farli salire in cambio del cibo in scatola di Alëša, un militare che ha perso una gamba e che non ha il coraggio di tornare dalla moglie per timore d’esser considerato da lei solo un peso, ma che grazie all’esortazione dei due giovani decide d'incontrarla, trovandone ricompensa nella gioia della donna che lo abbraccia con slancio.
Durante il tragitto, Alëša ha
l'incarico di portare del sapone alla moglie di Pavlov, un suo commilitone, ma
quando scopre che la donna, nell’assenza del marito, si è legata ad un altro
uomo, decide di donare il sapone al padre di Pavlov, un uomo anziano che si
occupa di un gruppo di bambini poveri. Infine, con grande rammarico, ma con la
promessa di ritrovarsi dopo la guerra, Alëša deve separarsi da Shura e, avendo
perso molto tempo nel viaggio per via della penuria dei mezzi di trasporto,
avrà appena il tempo di salutare sua madre, per poi tornare immediatamente al
fronte da cui non farà più ritorno. Durante l’ultima sequenza del film sentiamo
una voce fuori campo pronunciare queste parole: “E’ triste pensare a ciò che
avrebbe potuto essere e non è stato, alle cose che avrebbe potuto fare e non ha
fatto, all’amore che poteva dare e non ha dato. Ha avuto solo il tempo di
essere un soldato”. Il film è molto commovente e vibrante, capace di alternare
con naturalezza toni drammatici e sentimentali con tocchi di comicità, sempre
in un clima di delicato lirismo. La confezione è di notevole maestria tecnica,
con una fotografia di alta qualità e un’ottima recitazione degli interpreti.
Merita di essere citato anche La lettera non
spedita, girato ancora da Kalatazov nel
1959, forse di minor valore dei precedenti, ma pur sempre un film di
grande impatto estetico ed emotivo. Quattro
ricercatori, tre uomini e una donna, vengono mandati nella taiga
siberiana più remota alla ricerca di giacimenti diamantiferi. In questa zona
desertica l’essere umano viene posto di fronte ad un ambiente estremo, in un
tentativo non riuscito di adattarsi a condizioni proibitive in nome di un fine
supremo, poiché i diamanti sono di grande importanza negli esperimenti
astronautici spaziali. Ne risulta un dramma di struggente intensità, in cui si
potrebbe anche cogliere una critica ad una società che pretende dai suoi figli
imprese impossibili per i suoi fini di grandezza. La lettera non spedita è
quella, lunghissima, che il capo della piccola spedizione scrive a puntate alla
moglie. Non riuscirà mai a spedirla perché, come i suoi tre compagni, dovrà soccombere alla forze della natura, alle piogge
torrenziali che poi si tramuteranno in tempeste di neve e addirittura ad un
vasto incendio boschivo che impedirà ai mezzi di soccorso di individuarli e da
cui essi tenteranno di salvarsi scivolando lungo una zattera su un fiume
immenso, dove, stremati dalla fatica, troveranno tutti la morte.
In questo film ritroviamo la Tatjana
Samojlova di Quando
volano le cicogne, della quale viene esaltata la notevole carica espressiva
negli insistiti primi piani, dovuti al virtuosismo cinematografico di Sergei
Urusevsky, l’operatore di Kalatozov che lavora con una cinepresa a mano per
ottenere riprese di grande effetto, con
suggestive inquadrature delle figure e dei volti dei personaggi sugli incombenti fondali della natura, alberi
e rami aggrovigliati, rocce maestose, acque precipitose, che conferiscono agli
elementi naturali una presenza invadente e ossessiva. La fotografia in bianco e
nero è squisita.
Purtroppo, già
nei primi anni Sessanta il rinnovamento cedette
nuovamente ad una visione del cinema meno libera e creativa. Ma i film
citati conservano ancora oggi un certo valore, sia sul piano estetico, sia come
documento d’un momento di libertà creativa forse unico nel greve panorama
culturale del regime sovietico. Non ci si può esimere, tuttavia, dal fare
almeno un acceno ad Andrej Tarkovskij, grande regista di
livello internazionale che riuscì a girare, proprio negli anni Sessanta, film
di grande bellezza e poesia come L'infanzia di Ivan e soprattutto il suo capolavoro, Andrej Rublev, ma proprio perché le sue opere risultavano lontanissime dal realismo socialista, tornato a infuriare
nel suo aspetto peggiore, egli fu perseguitato dal regime sovietico, costretto
a rinunciare a girare altri film e infine ad espatriare all’estero, dove non
ritrovò mai più la felicità creativa dei suoi inizi. Ma questa è un’altra
storia.
Post molto interessante, in linea con la mia ultima lettura, Buonanotte signor Lenin, del quale ho sintetizzato la parte di un capitolo riguardante L'altra Israele, regione della Russia che si trova nella Siberia sud-orientale.
RispondiEliminaRitornerò perchè presto ripubblicherò questo post in un altro blog, segnalandone il link.
Grazie Marshall per la visita. I film di cui parlo sono riuscito a vederli qualche anno fa in un cineforum e li ricordo ancora oggi perfettamente, perché mi avevano sorpreso per la loro bellezza e poesia, convinto com'ero che in Unione Sovietica gli uomini fossero fortemente condizionati dal regime, oltre che da un punto di vista umano, anche sul piano del talento artistico. Dal che si deduce che il desiderio di esprimersi attraverso l'arte (in questo caso il cinema) non potrà mai essere conculcato e soppresso definitivamente. Il talento, dove esiste, ristagna magari nel sottosuolo, quando i tempi sono bui, ma, appena trova uno spiraglio, riemerge e torna a risplendere.
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