martedì 16 ottobre 2012

Guardiamo alle date. Balzac nasce nel 1799 e muore nel 1850; Il Capolavoro Sconosciuto viene composto a Parigi nel 1832, trent’anni prima dell’esplosione di quella stagione dell’arte che passerà alla storia col nome di Impressionismo e che, pur restando ancora vincolata alla rappresentazione della realtà sensibile, costituisce il primo scossone alla  riproduzione naturalistica della forma, cioè l’avvio di quel processo concettuale che, dalla scomposizione del soggetto rappresentato, porterà alla sua dissoluzione. Facendo negare a Frenhofer, il protagonista principale del suo racconto, l’esistenza in natura della linea, del contorno degli oggetti, definiti in realtà dalla luce che avvolge dinamicamente superfici e volumi, egli anticipa già, per l’appunto, la visione impressionistica basata sulla rappresentazione d’una realtà mobile e mutevole con la scomposizione della superficie pittorica in macchie e tocchi di colore, in un gioco di ombre e riflessi colti a colpo d’occhio per restituire la dissoluzione del colore locale in valori tonali, prospettici e atmosferici.  I personaggi più importanti del Capolavoro sconosciuto sono tre artisti, Porbus, il pittore socialmente affermato che gode dei favori d’una committenza importante, Poussin, il giovane artista di belle speranze trasferitosi dalla Provincia a Parigi per trovare il suo posto di rilievo nel mondo dell’arte della capitale e, appunto, Frenhofer, l’artefice più anziano che, nella sua volontà superomistica di ricreare sulla tela il palpito e il mistero della vita “rubando a Dio”, come dice lui stesso, “il suo segreto” per cogliere lo spirito, l’anima, l’immagine profonda degli oggetti e delle creature, si è estraniato completamente dalla vita e dal pubblico per darsi totalmente alla sua ricerca dell’assoluto nell’espressione artistica. Subito, nella scena d’esordio del romanzo, in cui i tre personaggi si incontrano nello studio di Porbus, di fronte a una Maria Egiziaca dipinta con tocco magistrale dallo stesso Porbus, Frenhofer ha parole di disprezzo per l’opera dell’amico. “La tua creazione è imperfetta: non hai saputo infondere che una parte della tua anima alla tua opera prediletta” gli dice. “La fiaccola di Prometeo ti si è spenta più di una volta fra le mani e molti particolari del tuo quadro non sono stati toccati dalla fiamma celeste”. E, di fronte all’esclamazione scandalizzata del giovane Poussin: “Ma questa santa è sublime, signore!” per tutta risposta chiede la tavolozza e i pennelli di Porbus e si mette a correggere il suo quadro con rapidi tocchi di colore, illustrando al ragazzo il perché dei suoi interventi: “Vedi come, con tre o quattro tocchi e una lieve velatura bluastra, si poteva far circolare l’aria intorno alla testa di questa povera santa, che doveva sentirsi soffocare, oppressa in questa atmosfera pesante! Guarda come questo drappeggio ora svolazza, e come si capisce che è il vento a sollevarlo. Prima, pareva una tela inamidata e appuntata con gli spilli”. Porbus non ha nulla da recriminare per gli interventi del maestro più anziano, anzi, recandosi più tardi nel suo studio insieme al giovane,  gli chiede di lasciar loro vedere l’opera a cui Frenhofer lavora da dieci anni senza averla mai mostrata ad alcuno, la Belle Noiseuse, “così” dice “forse potrei dipingere una nobile pittura, grande e profonda”. Ma il vecchio rifiuta energicamente: “Devo ancora perfezionarla. Ieri credevo d’aver finito: i suoi occhi mi sembravano umidi, la carne palpitava, le trecce dei suoi capelli si muovevano: ella respirava!.. Stamattina, alla luce del giorno, ho riconosciuto d’aver sbagliato”. A questo punto il giovane Poussin freme di curiosità: è convinto, come Porbus, che la visione dell’opera sconosciuta di Frenhofer gli aprirà la strada per accedere alla conoscenza della grande pittura. Per raggiungere lo scopo, non esita a chiedere alla sua ragazza di lasciarsi condurre dall’anziano maestro per proporgli di ritrarla, così da avere accesso alla visione del suo quadro e ai segreti della sua arte. Pur di fronte alla riluttanza della giovinetta, che prende la richiesta del fidanzato come una sorta di prostituzione della sua bellezza all’avidità pittorica del maestro anziano, egli l’accompagna ugualmente davanti a Frenhofer rischiando di perdere il suo amore. Ma Frenhofer, pur affascinato per qualche istante dalla bellezza della giovane donna, subito riporta l’attenzione sul suo quadro, quel ritratto di donna che rappresenta l’unico interesse della sua vita e, in un certo senso, il suo vero amore. E questa volta decide di consentirne la visione ai due colleghi pittori per godere del trionfo che la bellezza della sua creazione riporterà su quella della giovinetta in carne ed ossa. Ma il quadro si rivelerà nient’altro che un incomprensibile groviglio di macchie di colore sovrapposte che formano una muraglia di pittura, sotto la quale si intravvede appena un frammento di piede nudo, un piede delizioso, palpitante di vita. “C’è una donna là sotto!” esclama Porbus, facendo notare a Poussin gli strati di colore che Frenhofer aveva di volta in volta sovrapposto, credendo di perfezionare la sua opera. “Ma finirà pure per accorgersi, prima o poi, che non c’è niente sulla tela!” commenta Poussin. Dall’esclamazione del ragazzo, e dall’atteggiamento deluso di Porbus, Frenhofer riesce a vedere per la prima volta con sguardo limpido e obiettivo il suo quadro e tutte le sue sicurezze vacillano. “Niente! Niente! E ci ho lavorato dieci anni!” prorompe piangendo. L’indomani Porbus, preoccupato, torna a cercare Frenhofer, e scopre che è morto quella notte, dopo aver bruciato tutte le sue tele. Balzac ha previsto, con questo racconto magistrale, quale sarebbe stato il destino dell’arte e la sua inevitabile involuzione verso l’astrazione, il concettuale e l’informale, col loro corollario di equivoci sfocianti spesso nell’impostura; individuando così perfettamente le conseguenze che derivavano dell’estraniarsi dalla vita e dal pubblico e comprendendo quale minaccia nascondesse l’estetismo e il nichilismo esasperati legati a una concezione dell’arte intesa come esercizio privato e individualistico, col pericolo di incomunicabilità e distruttività che conteneva: una minaccia che è diventata, purtroppo, una cruda realtà in epoca moderna e post moderna.
Dionisio di Francescantonio

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