Guardiamo alle date. Balzac
nasce nel 1799 e muore nel 1850; Il Capolavoro Sconosciuto viene
composto a Parigi nel 1832, trent’anni prima dell’esplosione di quella stagione
dell’arte che passerà alla storia col nome di Impressionismo e che, pur
restando ancora vincolata alla rappresentazione della realtà sensibile,
costituisce il primo scossone alla riproduzione naturalistica della
forma, cioè l’avvio di quel processo concettuale che, dalla scomposizione del
soggetto rappresentato, porterà alla sua dissoluzione. Facendo negare a
Frenhofer, il protagonista principale del suo racconto, l’esistenza in natura
della linea, del contorno degli oggetti, definiti in realtà dalla luce che
avvolge dinamicamente superfici e volumi, egli anticipa già, per l’appunto, la
visione impressionistica basata sulla rappresentazione d’una realtà mobile e
mutevole con la scomposizione della superficie pittorica in macchie e tocchi di
colore, in un gioco di ombre e riflessi colti a colpo d’occhio per restituire
la dissoluzione del colore locale in valori tonali, prospettici e atmosferici.
I personaggi più importanti del Capolavoro sconosciuto sono tre
artisti, Porbus, il pittore socialmente affermato che gode dei favori d’una
committenza importante, Poussin, il giovane artista di belle speranze
trasferitosi dalla Provincia a Parigi per trovare il suo posto di rilievo nel
mondo dell’arte della capitale e, appunto, Frenhofer, l’artefice più anziano
che, nella sua volontà superomistica di ricreare sulla tela il palpito e il
mistero della vita “rubando a Dio”, come dice lui stesso, “il suo segreto” per
cogliere lo spirito, l’anima, l’immagine profonda degli oggetti e delle
creature, si è estraniato completamente dalla vita e dal pubblico per darsi
totalmente alla sua ricerca dell’assoluto nell’espressione artistica. Subito,
nella scena d’esordio del romanzo, in cui i tre personaggi si incontrano nello
studio di Porbus, di fronte a una Maria Egiziaca dipinta con tocco magistrale
dallo stesso Porbus, Frenhofer ha parole di disprezzo per l’opera dell’amico.
“La tua creazione è imperfetta: non hai saputo infondere che una parte della
tua anima alla tua opera prediletta” gli dice. “La fiaccola di Prometeo ti si è
spenta più di una volta fra le mani e molti particolari del tuo quadro non sono
stati toccati dalla fiamma celeste”. E, di fronte all’esclamazione
scandalizzata del giovane Poussin: “Ma questa santa è sublime, signore!” per
tutta risposta chiede la tavolozza e i pennelli di Porbus e si mette a
correggere il suo quadro con rapidi tocchi di colore, illustrando al ragazzo il
perché dei suoi interventi: “Vedi come, con tre o quattro tocchi e una lieve
velatura bluastra, si poteva far circolare l’aria intorno alla testa di questa
povera santa, che doveva sentirsi soffocare, oppressa in questa atmosfera
pesante! Guarda come questo drappeggio ora svolazza, e come si capisce che è il
vento a sollevarlo. Prima, pareva una tela inamidata e appuntata con gli
spilli”. Porbus non ha nulla da recriminare per gli interventi del maestro più
anziano, anzi, recandosi più tardi nel suo studio insieme al giovane, gli
chiede di lasciar loro vedere l’opera a cui Frenhofer lavora da dieci anni
senza averla mai mostrata ad alcuno, la Belle Noiseuse, “così” dice
“forse potrei dipingere una nobile pittura, grande e profonda”. Ma il vecchio
rifiuta energicamente: “Devo ancora perfezionarla. Ieri credevo d’aver finito:
i suoi occhi mi sembravano umidi, la carne palpitava, le trecce dei suoi
capelli si muovevano: ella respirava!.. Stamattina, alla luce del giorno, ho
riconosciuto d’aver sbagliato”. A questo punto il giovane Poussin freme di
curiosità: è convinto, come Porbus, che la visione dell’opera sconosciuta di
Frenhofer gli aprirà la strada per accedere alla conoscenza della grande
pittura. Per raggiungere lo scopo, non esita a chiedere alla sua ragazza di
lasciarsi condurre dall’anziano maestro per proporgli di ritrarla, così da
avere accesso alla visione del suo quadro e ai segreti della sua arte. Pur di
fronte alla riluttanza della giovinetta, che prende la richiesta del fidanzato
come una sorta di prostituzione della sua bellezza all’avidità pittorica del
maestro anziano, egli l’accompagna ugualmente davanti a Frenhofer rischiando di
perdere il suo amore. Ma Frenhofer, pur affascinato per qualche istante dalla
bellezza della giovane donna, subito riporta l’attenzione sul suo quadro, quel
ritratto di donna che rappresenta l’unico interesse della sua vita e, in un
certo senso, il suo vero amore. E questa volta decide di consentirne la visione
ai due colleghi pittori per godere del trionfo che la bellezza della sua
creazione riporterà su quella della giovinetta in carne ed ossa. Ma il quadro
si rivelerà nient’altro che un incomprensibile groviglio di macchie di colore
sovrapposte che formano una muraglia di pittura, sotto la quale si intravvede
appena un frammento di piede nudo, un piede delizioso, palpitante di vita. “C’è
una donna là sotto!” esclama Porbus, facendo notare a Poussin gli strati di
colore che Frenhofer aveva di volta in volta sovrapposto, credendo di
perfezionare la sua opera. “Ma finirà pure per accorgersi, prima o poi, che non
c’è niente sulla tela!” commenta Poussin. Dall’esclamazione del ragazzo, e
dall’atteggiamento deluso di Porbus, Frenhofer riesce a vedere per la prima
volta con sguardo limpido e obiettivo il suo quadro e tutte le sue sicurezze
vacillano. “Niente! Niente! E ci ho lavorato dieci anni!” prorompe piangendo.
L’indomani Porbus, preoccupato, torna a cercare Frenhofer, e scopre che è morto
quella notte, dopo aver bruciato tutte le sue tele. Balzac ha previsto, con
questo racconto magistrale, quale sarebbe stato il destino dell’arte e la sua
inevitabile involuzione verso l’astrazione, il concettuale e l’informale, col
loro corollario di equivoci sfocianti spesso nell’impostura; individuando così
perfettamente le conseguenze che derivavano dell’estraniarsi dalla vita e dal
pubblico e comprendendo quale minaccia nascondesse l’estetismo e il nichilismo
esasperati legati a una concezione dell’arte intesa come esercizio privato e
individualistico, col pericolo di incomunicabilità e distruttività che
conteneva: una minaccia che è diventata, purtroppo, una cruda realtà in epoca
moderna e post moderna.
Dionisio di Francescantonio
Nessun commento:
Posta un commento